La personalità umana
La persona umana è composta da corpo e mente. Del corpo
fanno parte le ossa, i muscoli, le articolazione, gli organi interni, la
pelle, il cervello e il sistema nervoso.
L’apparato psichico é caratterizzato da inconscio
(parte della mente che sfugge all’attenzione della mente stessa); dal
conscio (parte della mente che funziona in base ai principi della
logica e della razionalità); dal preconscio (pur non essendo ancora
conscio ha già superato lo stato di inconscio riguardante contenuti
rappresentazionali e affettivi accessibili, anche se non sempre
disponibili).
La mente è rappresentata dal contenuto del sistema
nervoso che è suddiviso in tre parti:
mente somatica, mente analitica, mente
emotiva.
•
La mente somatica,
chiamata anche schema motorio, ha il
compito di memorizzare tutte le informazioni provenienti dai muscoli,
dalle articolazioni, dalla pelle; coordina i movimenti, l’equilibrio, la
postura.
•
La mente analitica
o conscia è responsabile del
ragionamento, dell’intelligenza,della logica, della tattica o strategia in
campo .
•
La mente emotiva,
chiamata anche inconscio, rappresenta
la nostra istintività; è l’insieme delle emozioni negative e positive;
agisce in base allo stimolo risposta senza intervento di coscienza; è
legata al corpo ed in grado di condizionarlo attraverso le emozioni; agli
stimoli percepiti risponde in base ad esperienze già vissute attraverso la
ripetizione e l’allenamento; è un enorme deposito di vissuti e di ricordi;
non pensa ma sente, prova e risponde ai comandi della mente conscia
attingendo nel deposito dei ricordi dando istruzioni al corpo sulle cose
da fare. Quindi, durante la partita non bisogna pensare a come fare una
determinata cosa, ma cosa si vuole realizzare con comandi precisi e non
dubbiosi, e verrà fatto automaticamente dalla mente inconscia se si ha un
bagaglio motorio-tecnico-tattico abbastanza vasto.
Per avere successo è necessario che la mente conscia e
quella inconscia siano in un rapporto di congruenza (Livio Sgarbi).
Per di più, ogni individuo possiede dei tratti della
personalità, cioè una predisposizione a rispondere a particolari stimoli
in maniera differente circa i rapporti con gli altri, la stabilità emotiva
(ansia, preoccupazione, rabbia, gestione delle emozioni),
l’intraprendenza, l’intelligenza tattica, l’iniziativa, il desiderio di
apprendere, ecc.
Partendo da questo presupposto, alcuni soggetti
presentano una difficoltà a leggere i propri segnali fisici e i vissuti
emozionali (tranne la paura e l’ansia), interpretati come un cattivo
funzionamento a livello fisico; i soggetti con tale personalità hanno
delle buone relazioni interpersonali, hanno paura di perdere il controllo
delle proprie emozioni e una scarsa predisposizione al rilassamento.
Altri, delineano una personalità rigida, perfetta,
perfezionista, con difficoltà nel prendere le decisioni, l’impedimento nel
rilassamento e nell’espressioni delle emozioni. Altri, dimostrano
pessimismo, autosvalutazione, responsabilità dei propri insuccessi, danno
poco valore agli obiettivi raggiunti, hanno poca fiducia negli altri,
contano principalmente sulle proprie capacità. Altri ancora, denotano una
difficoltà a distinguere i propri stati emotivi, la fatica fisica, la
sensibilità ai giudizi altrui; hanno la tendenza al perfezionismo.
Va evidenziato che il valore dei dati, in riferimento
alle diverse personalità, è solo un esempio delle varie personalità; sono
dati puramente indicativi, si possono riscontrare nell’adulto e non
nell’adolescente, dove è variabile.
La
conoscenza dell’atleta
La conoscenza dell’atleta serve ad avere degli elementi attraverso i quali
poter programmare, valutare e verificare il lavoro
del preparatore. Per conoscere l’atleta
si possono utilizzare varie strategie. Quelle maggiormente
utilizzate in ambito sportivo sono il colloquio e il profilo di
prestazione.
Il colloquio rappresenta una tecnica
molto importante dalla quale in un contesto molto spensierato si possono
trarre aspetti fondamentali di conoscenza del nostro portiere. Il
colloquio deve essere strutturato (pre - impostato) dal preparatore
in modo da contenere questioni e conseguenti punti di vista
sui seguenti aspetti:
• identificazione dei punti forti e deboli;
• miglioramento della consapevolezza;
• vissuti pre-gara;
• obiettivi;
• reazioni fisiologiche (ansia, ecc.);
• rappresentazione mentale;
• concentrazione e distrazione;
• valutazione prestazione e reazione all’errore;
• emozioni;
• rapporto con l’allenatore;
• canali sensoriali prevalenti (si notano da come l’atleta si racconta).
Le domande devono essere specifiche e facilmente comprensibili
dal nostro portiere cercando di utilizzare un linguaggio espositivo che
sia il più comprensibile possibile utilizzando il linguaggio dell’allievo
e che, comunque, verranno proposte in base alle risposte dell’allievo,
facendo in modo che sia lui stesso a guidare il colloquio; ricordarsi che
è l’allievo l’esperto della propria esperienza.
Il profilo di prestazione dell’atleta,
serve ad avere la consapevolezza dei punti di forza e di
debolezza, conoscere i bisogni del giocatore, sapere ciò che
l’atleta reputa importante per poter gareggiare, valutare i progressi,
esaminare la prestazione dopo la gara, rendere più motivante
l’allenamento, poiché è l’atleta stesso che collabora a evidenziare
l’importanza di lavorare su un aspetto piuttosto che un altro (Butler,
1989). Per conoscere l’atleta bisogna innanzi tutto delineare gli aspetti
che sono necessari per una prestazione ottimale, incoraggiando l’atleta
all’autovalutazione tramite un punteggio da attribuire ad ogni
aspetto qualitativo della prestazione(es.tuffo voto 6,uscite voto
7,gestione dell'ansia voto5 ecc).
Può essere l’atleta stesso ad illustrare quali sono, a suo giudizio, le
qualità specifiche che intervengono per migliorare la prestazione e darsi
una valutazione; oppure
è il preparatore che propone una serie 20 qualità dove
l’allievo può scegliere quelle che a suo parere sono le più importanti
e il suo stato di preparazione attuale rispetto a quelle qualità.
esempio:
le 20 qualità vengono scelte tra i gruppi sottoelencati e
trascritti nello spicchio di cerchio più esterno dello "schema del
profilo dei progressi". foto 1
Una volta illustrate tutte le qualità più importanti, dal punto di vista
mentale, fisico,
tecnico-tattico da inserire nell’ultimo spazio dello schema, l’allievo
deve valutare il suo
livello attuale in riferimento a ciascuna qualità con un voto da 0
a 10 usando il grafico
del profilo di prestazione. Il punteggio massimo (10) va segnato
nell’anello più esterno
della figura, tutti gli altri a scalare; i punteggi inferiori a 4 vanno
messi nel cerchietto
centrale.
Per ogni qualità, l’anello corrispondente al voto, si può evidenziare in
qualsiasi modo
(segno particolare, colore, ecc.).
•gruppo qualità fisiche
(forza, resistenza, scioltezza, forma, velocità, rapidità, destrezza,
potenza,
esplosività, respirazione, pulsazioni, tono muscolare);
•gruppo qualità coordinative
(equilibrio, reazione, ritmo, trasformazione, accoppiamento-combinazione,
coordinazione oculo-manuale, anticipazione, differenziazione,
orientamento, percezione della figura-sfondo);
•gruppo qualità strategiche
(obiettivi, pianificazione, tattica, tipo di gioco, profondità e
aggressività nelle azioni tecniche, posizione in campo);
•gruppo qualità psiche
(concentrazione, controllo emotivo, rilassamento, visualizzazione);
•gruppo qualità tecniche
(presa, respinta, deviazioni, rinvii, bisettrice, palle inattive, uscite,
ecc, );
•gruppo qualità caratteriali
(obiettivi, desiderio di vincere, disciplina, determinazione, autostima,
fiducia, voglia di allenarsi e migliorare, regime alimentare adeguato,
tempo da
dedicare al gioco e all’allenamento);
•gruppo qualità alimentari
(peso attuale, composizione del grasso corporeo, alimentazione prepartita,
alimentazione durante la partita, alimentazione dopo la partita,
integratori
alimentari).
Lo schema del profilo di
prestazione o dei progressi ci permetterà di avere una
conoscenza a 360° del nostro portiere
foto 1
Altri tipi di test per portare l’allievo alla autoconsapevolezza
(conoscere i propri punti
forti e deboli, le cose da migliorare come portiere e come persona), come
capacità imprescindibile per chi vuole diventare un atleta di alto
livello, si possono avere in merito all’immagine di sé, chiedendo all’allievo di rappresentarsi scegliendo, da
una apposita
lista, degli aggettivi che lo possono rappresentare più di altri.
Questo serve a capire come l’allievo si percepisce e aiutarlo a migliorare
la stima di sè
nelle parti in cui è carente.
Volendo trattare una lista di aggettivi (secondo Richard J. Butler) che
descrivono l’immagine del sé di un atleta (il quale deve scegliere i più
importanti) si possono citare i
seguenti:
Profilo degli stati
dell’umore
Il profilo degli stati dell’umore (Profile Of Mood States o POMS) noto
come “profilo iceberg”, fa riferimento ad un elenco di sessantacinque
aggettivi che valutano sei aspetti delle emozioni:
-
tensione
-
depressione
-
stanchezza
-
confusione
-
rabbia
-
vigore
In un secondo momento, la quantità degli aggettivi viene ridotta
per facilitarne l’utilizzo.
In ambito sportivo è prevista una scala delle emozioni con venti
aggettivi derivanti dagli
atleti e non dagli psicologi, come avveniva in un primo momento.
Essa serve per monitorare le sensazioni dell’atleta per averne una
rappresentazione
chiara, in modo che il preparatore comprenda lo stato emotivo del proprio
portiere e programmi l’allenamento di conseguenza aiutandolo a superare
determinati atteggiamenti.
L’atleta deve dare un punteggio per ogni aggettivo da 0 a 10 in base a
come si sente
in quel momento, che verrà segnato nell’apposita griglia di valutazione.
La scala delle emozioni fa riferimento alla teoria dei costrutti
personali e nasce da una
idea di Mildred McCOY (1977); può essere impiegata nel periodo di
preparazione
, nel momento vicino alle gare, dopo la disputa di una partita, ecc.
Compilando la scheda sotto elencata alla fine di un allenamento o di una
partita e assegnando dei valori alle varie emozioni da 0 a 10 avremo una
situazione indicativa dello stato d'umore del nostro portiere nella sua
complessità.
Scala delle emozioni (Richard J. Butler 2003)
LE ABILITA' MENTALI
Per avviare un programma di allenamento mentale è
fondamentale individuare un insieme di abilità da sviluppare.In
riferimento al portiere di calcio abbiamo individuato le seguenti abilità
• prestazione eccellente o
flow (peak performance);
• aspettativa di efficacia
(self efficacy);
• formulazione degli
obiettivi (goal setting);
• dialogo interiore (self
talk);
• abilità immaginative (mental
imagery);
• attivazione psicofisica (arousal);
• concentrazione;
• stress.
Una classificazione recente delle abilità mentali
viene proposta da Weinberger e Gould
del 1995, partendo dal modello di Vealey del
1988, prevedendo una suddivisione delle
abilità mentali in tre sottogruppi:
• di base (motivazione, autoconsapevolezza,
autostima, fiducia in sé stessi);
• di prestazione (ottimizzazione del
livello di attivazione psicofisica, gestione ottimale dell’attenzione);
• facilitatorie (capacità di relazione
interpersonale, gestione dello stile di vita).
Nell’applicare un programma di mental training va
instaurato un rapporto di fiducia
con l’allievo, si evidenziano punti forti e punti
deboli, si applicano dei programmi personalizzati, si stabiliscono degli
obiettivi, si monitorizzano i progressi, si realizza il programma in
maniera costante, si propongono in allenamento e in partita delle tecniche
specifiche, si rende l’allievo autonomo nell’applicazione delle tecniche.
Potrebbe essere utile allenare ogni settimana una
abilità diversa.
Prestazione eccellente o flow
Il flow quale prestazione eccellente (peak
performance), flusso di coscienza, esperienza ottimale, massimo
coinvolgimento cognitivo ed emotivo, stato di benessere psicologico fa
riferimento ad una condizione psicofisica sopra ogni aspettativa,
rappresentata da un senso di benessere, da uno stato psicologico ottimale:
utilizzo superiore delle potenzialità umane. Il primo ad occuparsi del
flow fu lo psicologo americano Csikszentmihalyi negli ’70. Il campione olimpico di decathlon alle olimpiadi
di Montral (1976), Bruce Jenner disse: cominciai ad avere la sensazione che non c’era
niente che io non potessi fare, era come se fossi in possesso di una potenza senza
limiti; mi faceva quasi paura la facilità con cui battevo ogni record personale; non ero
sulla terra come tutti gli altri. Durante questa percezione di prestazione
eccellente, si verificano diverse dimensioni che interagiscono fra di loro nel senso che,
agendo su uno degli effetti, si riflettono anche sulle altre (Csikszentmihalyi, 1975).
Atleti di alto livello ribadiscono:
• di avere, in tali situazioni, una percezione
del compito come una sfida stimolante, con la convinzione di affrontarlo con estremo
successo, permettendo di estraniarsi da tutto il resto, risparmiare
l’energia psicofisica per analizzare altre informazioni, svolgere il
compito in maniera automatizzata e spontanea;
• la concentrazione diventa massima non
lasciando spazio ad altre informazioni irrilevanti;
• vi è una assenza di paura, forte
motivazione, determinazione, percezione di controllo della situazione,
sensazione di gioia e carica fisica;
• ci si sente padroni dei propri movimenti
e capaci di superare qualsiasi ostacolo, fiducia nelle capacità personali;
• si avverte un disorientamento spazio
temporale (il campo sembra più grande, la
palla muoversi più lentamente);
• si ha un rilassamento fisico e mentale
(scioltezza, fluidità, sicurezza dei movimenti, calma, concentrazione).
Durante questo momento, che può durare pochi
minuti, uno o qualche giorno, si avverte questo stato soggettivo positivo
e gratificante che è reso possibile dalla completa funzione tra azione e
coscienza, stato di equilibrio e ordine psichico. L’equilibrio fra le
richieste della situazione e le capacità personali percepite, favoriscono
l’insorgenza del flow. Qualche studioso (Hall 1982), suppone che questa
condizione può essere favorita da un intervento sinergico dei due emisferi
cerebrali, considerato che in genere funzionano in maniera asimmetrica
svolgendo compiti diversi. È importante altresì la cultura in cui in cui
si vive, l’eredità culturale, il livello di istruzione, lo status socio
economico, l’educazione familiare. Il fatto di provenire da situazioni disagiate
molto spesso può essere un vantaggio, poiché favorisce l’utilizzo di attività fisiche
che richiedono energie individuali e poche risorse materiali. Alcuni, sperimentano in
maggior misura vissuti di flow rispetto ad atri (personalità autotelica), essendo predisposti per
diversi motivi: capacità di mantenere la concentrazione più a lungo; capacità di vedere
gli ostacoli come sfide; capacità di sentirsi responsabili del controllo
delle proprie azioni con uno stimolo maggiore della motivazione interna.
Non è possibile allenare il flow,
ma è realizzabile occuparsi delle condizioni che lo favoriscono; infatti,
l’intensità e la frequenza del flow sono strettamente correlate ad abilità
e a componenti psicologiche quali: fiducia pre-gara, pensiero positivo,
motivazione, focalizzazione attentiva, reattività fisica, livello di
attivazione psicofisiologica, definizione degli obiettivi, feedback. Il
flow non può essere sperimentato in una situazione di ansia o di scarsa
autostima.Per studiare lo stato di flow sono state strutturate diverse
metodologie tra cui la Flow State scale (Jackson & Marsch, 1996). Questa
scala come strumento di indagine, è stata tradotta in lingua italiana
(Muzio, Nitro & Costa, 1998); applicata in campo sportivo e sono stati
sostituiti alcuni termini per avere una maggiore chiarezza interpretativa. La scala è composta da 36 items suddivisa in 9
sub-scale che rappresentano le nove dimensioni del flow individuate dagli autori. La
scala proposta in questo lavoro è stata leggermente modificata in alcuni termini e nel
numero degli items. L’atleta viene invitato a ricordare una recente
prestazione eccellente cercando nella scala le sensazioni avvertire e attribuendo un
valore da 1 a 5.
Le 9 dimensioni della FSS sono:
• D1: equilibrio tra sfida e abilità;
• D2: unione tra azione e coscienza;
• D3: mete chiare;
• D4: feedback immediate;
• D5: concentrazione sul compito;
• D6: senso di controllo;
• D7: perdita della autoconsapevolezza;
• D8: destrutturazione del tempo;
• D9: esperienza autotelica.
Alcune di queste dimensioni sono delle condizioni
predisponenti al flow (D1, D3, D4),
mentre le altre descrivono le caratteristiche del
vissuto di flow.
Aspettativa di efficacia
L’aspettativa di efficacia (self efficacy) è
rappresentata dalla fiducia nelle proprie capacità per affrontare una
situazione competitiva che può influenzare fortemente la prestazione. La
maggior parte degli atleti di grande successo crede fermamente nelle
proprie risorse e capacità, impegnandosi ad utilizzare tutti i mezzi a
disposizione. Chi crede di non riuscirci, probabilmente così sarà. Alcuni giocatori partono già sconfitti prima di
entrare in campo, poiché pensano a sconfitte o errori fatti nelle precedenti gare,
si stimano incapaci, fermano il loro pensiero su aspetti negativi. Bisogna abbandonare le <<credenze limitanti>>
(non sarò mai un campione, le gare importanti le ho sempre perse, ecc.) e
sostituirle con le <<credenze potenzianti>> (con l’allenamento e l’impegno diventerò più bravo)
per acquisire forza, determinazione, convinzione di potercela fare (Livio Sgarbi
2004). Per favorire questa situazione, oltre alle
capacità, all’abilità e alla motivazione, si necessita di ottimismo e di
convinzione di essere all’altezza della situazione. Chi pensa di non
farcela, di non essere capace, è perdente in partenza. Chi ha scarsa
fiducia in sé tende a diminuire il proprio impegno, evitare il compito
proposto, attribuire gli insuccessi a incapacità personali e i successi a
cause esterne. Viceversa chi ha fiducia in sé e autostima, ha voglia di
impegnarsi e di raggiungere gli obiettivi. Rappresentare il successo
migliora la prestazione.È opportuno allenare la capacità di conservare la
fiducia in sé in situazioni che la escluderebbero. <<Il vero successo non
consiste nel non cadere, ma nel rialzarsi ogni
volta che si cade>>
(Vince Lombardi). È rilevante sviluppare un pensiero positivo
eliminando tutte le cose negative, che in genere si caratterizzano con delle espressioni
ben precise: << non sono sicuro nelle uscite >>, , << penso di non farcela
>>, << ho deluso l’allenatore >>, ecc. Tutte queste limitazioni, autosvalutazioni, paura
di cosa accadrà, dubbi su di sé, timore di deludere gli altri non consentono di
esprimersi al meglio. Il preparatore deve essere attento nel percepire
queste difficoltà espresse dall’allievo e aiutarlo a superarle, in primo luogo facendo
sostituire le affermazioni negative con quelle positive. Anche usare dell’ironia può
essere di aiuto.
Boris Becker (grande tennista) sosteneva: “dico a
me stesso che la cosa peggiore che può capitare è perdere una partita di tennis, il che è tutto”.
I pensieri positivi sono legati anche alla
fiducia che l’allievo ha di sé, come consapevolezza di riuscire ad
eseguire un compito prima di eseguirlo (Mildred McCoy 1977). Il successo aumenterà la fiducia in sé e
l’autostima, l’insuccesso la farà diminuire (Bandura). La fiducia in sé può essere anche
stimolata da esperienze sostitutive, come ad esempio vedere gli altri riuscire, che può fare
scaturire la convinzione di essere capaci; da incitamenti e incoraggiamenti verbali (dai che
puoi farcela, sei il più forte, ecc.), come tecniche persuasive suggestionanti per
convincere l’allievo che può esprimersi con successo. Va detto che tuttavia, queste
tecniche persuasive sono più deboli e meno incisive rispetto all’esperienza del
successo personale in precedenti occasioni. Un esercizio che porta alla consapevolezza di un
atteggiamento positivo, si chiama “inquadramento positivo della mente”. Esso
consiste nell’invitare l’allievo a descrivere tre aspetti che lo caratterizzano in relazione a
degli argomenti guida come:
• belle parate e punti di forza;
• miglioramenti fatti negli ultimi sei mesi;
• partite di cui si sente soddisfatto;
• aspetti dell’allenamento che sono stati curati
particolarmente;
• prossimi obiettivi.
È necessario che le frasi siano formulate
dall’allievo, senza suggerimenti del preparatore
o dello psicologo; vanno annotate in un foglio di
carta; gli argomenti vanno formulati in
positivo. Una strategia che solo di tanto in tanto si può
utilizzare è quella di dare falsi feedback, facendo credere di avere raggiunto un certo
risultato quando in realtà si è solo avvicinato. In caso di sconfitta o di insuccesso, un
atteggiamento negativo è rappresentato dall’attribuzione del proprio esito
negativo a fattori interni e stabili (sono buono a nulla, non migliorerò
mai, ecc.). Il preparatore, in questi casi, deve intervenire per
migliorare l’immagine di sé, attribuendo situazioni realistiche e
positive. Si deve fare di tutto per migliorare la stima
dell’allievo, in modo tale che la prestazione sia affrontata con la massima fiducia. A
tal proposito, due studiosi (Deborah Feltz, Dan Goul) suggeriscono un insieme di proposte per
incrementare la fiducia nell’allievo:
• esaltare e incoraggiare sempre in positivo,
dopo l’esecuzione di un compito (sei
migliorato parecchio, hai un ottima presa, ecc.);
• dare suggerimenti su quello che va fatto e non
su quello che non va fatto (sostituire la frase << non tuffarti con le
gambe diritte >> con << piegati bene sulle gambe >>, le frasi su cosa non
va fatto trasportano l’informazione in senso negativo e creano dubbi;
• proporre all’allievo di autoelogiarsi
con delle frasi sulle proprie capacità (sono
forte, sono bravo, ho un rinvio micidiale, ecc.);
• convincere l’atleta che i risultati ottenuti
sono dovuti alle proprie capacità e che
sta seguendo un allenamento completo;
• abituare l’allievo ad analizzare e valutare la
prestazione specialmente dopo una
vittoria, dandosi anche un punteggio;
• spiegare all’allievo che, prima della gara, i
segnali che potrà avvertire (aumento
del battito cardiaco, respiro affannoso,
sudorazione, ecc.), prepareranno il corpo
ad affrontare l’incontro;
• incoraggiare il successo della prestazione in
virtù delle precedenti esperienze e
al fatto che in allenamento sono stati curati
tutti i particolari.
Formulazione degli obiettivi
La formulazione degli obiettivi (goal setting) ha
il compito di dirigere l’attenzione su un
compito ben preciso, con la conseguenza di
aumentare la motivazione. Saper organizzare adeguatamente un intervento
didattico è una delle competenza chiave del preparatore , volta a favorire un
progressivo miglioramento delle prestazioni motorie. La scelta di lavorare in un modo
piuttosto che in un altro, è di vitale importanza in quanto determina il
livello della performance.È preferibile che gli obiettivi siano scelti
insieme all’allievo ottenendo una maggiore responsabilizzazione e riuscendo ad avere
risultati migliori, perché se vengono imposti può venire meno l’interesse a realizzarli. La formulazione degli obiettivi prevede una
classificazione dei risultati da raggiungere a breve (una o più settimane),
medio (uno o più
mesi) o lungo termine (molti mesi, anni); vanno monitorati rilevandone i progressi
attraverso confronti, punteggi, istruzioni verbali, definendone degli
altri nel momento in cui vengono raggiunti. Serve da punto di riferimento per controllare la
prestazione attuale con quella desiderata. Non esistono persone pigre, non motivate; esistono
solo persone che hanno obiettivi deboli che non suscitano emozioni forti. Questo è quanto
emerge dalle più moderne ricerche delle neuroscienze. <<Occorre usare la fiducia
per raggiungere il successo e non il
successo per raggiungere la fiducia>>. Alcuni autori hanno formulato una serie di linee
guida:
• obiettivi precisi regolano l’azione in modo più
preciso di obiettivi generali;
• più alto è l’obiettivo, migliore sarà la
prestazione, tenendo in considerazione il
livello dell’allievo;
• gli obiettivi sono efficaci in presenza di
feedback che ne evidenziano i progressi;
• obiettivi difficili, ragionevoli e realistici,
richiedono impegno che determina presta
zioni migliori;
• obiettivi facili determinano decrementi di
prestazione;
• mettere in risalto obiettivi di prestazione
(per esempio migliorare la tattica,
la tecnica, ecc.), piuttosto che di risultato
(vincere una partita) che creano molta
pressione e meno controllo.
Gli allievi che hanno obiettivi di prestazione
interpretano ogni situazione come una opportunità per migliorare;
viceversa, quelli con obiettivi di risultato tendono a valutarsi in
base al confronto con gli altri. Alcuni soggetti,
stimolati dal confronto con gli altri e dalla
volontà di riuscire, sviluppano degli obiettivi
spontanei.
Quindi, affinché gli obiettivi siano efficaci,
bisogna tenere presente i seguenti aspetti:
devono essere specifici, precisi,
chiari;
riferiti ad aspetti cognitivi e motori; di risultato
e di prestazione; scanditi nel tempo (breve,
medio, lungo termine); realistici, significativi e motivanti; stabiliti di
comune accordo; verificati, misurati, autovalutati, registrati; adattati alle caratteristiche di ognuno. Gli allievi più bravi e motivati al successo,
scelgono obiettivi elevati e stimolanti; diversamente, allievi meno bravi,
poco fiduciosi scelgono obiettivi che sono sicuri di realizzare. Lo stesso
vale tra chi ha già avuto esperienze di successo e chi ha sperimentato l’insuccesso.
In assenza di obiettivi a breve-medio-termine,
può scadere la motivazione e si perdono
di vista quelli a lungo termine. Non bisogna stabilire molti obiettivi, ma è utile
preparare una gerarchia realizzando prima quelli più importanti e una volta raggiunti
passare agli altri. Ciò nonostante, gli allievi più bravi e più esperti, riescono a
gestire maggiori obiettivi di quelli meno bravi. Gli obiettivi vanno comunicati sia per
l’allenamento che per la gara; l’accento va messo su comportamenti da attuare piuttosto che su
quelli da eliminare; favorire gli obiettivi di prestazione, oltre al confronto con gli altri,
viene avvalorato il miglioramento personale,
aumenta la fiducia nelle proprie capacità, si
riduce l’ansia dovuta al raggiungimento del
risultato a tutti i costi, aumenta la possibilità
di successo. Un obiettivo didattico rappresenta la
formulazione in termini operativi di una meta formativa, cioè una
affermazione indicante ciò che un allievo dovrebbe saper fare ad una determinata età, come risultato
dell’apprendimento offertogli; è necessario tenere sempre in considerazione le caratteristiche di
ogni allievo, nonché il tempo dedicato alla pratica di questo sport.
Intanto, si deve partire dal presupposto se si
intende fare arruolamento (portare più praticanti possibili al campo badando
poco alla qualità), oppure fare anche della specializzazione.
Una cosa è creare il “campioncino” all’interno
del girone locale, cosa diversa è fare l’agonista
che si fa valere anche fuori dal suo territorio
in ambito regionale, nazionale o internazionale.
Dialogo interiore
Indirizzare in un modo positivo il contenuto del
proprio pensiero è indispensabile ai fini
della prestazione. Il dialogo interiore (self-talk), serve per
parlare con se stessi. I pensieri possono influenzare il comportamento attraverso il dialogo
interiore: quelli positivi favoriscono le capacità prestative, quelli negativi sono
fortemente condizionanti. È chiaro però che bisogna programmare un allenamento affinché siano
controllati i pensieri: dialogo interno attraverso parole stimolo,
rinforzanti, autosuggestionanti per una percezione di autocontrollo e autoinduzione emotiva, favorendo
anche la concentrazione, aiutando l’atleta a focalizzare l’attenzione sugli
elementi rilevanti per la prestazione. Il dialogo interiore dovrebbe essere sostanziale,
perché una eccessiva verbalizzazione può disorientare.
L’argomento delle dichiarazioni va riferito agli
obiettivi desiderati e non agli errori da
annullare; il dialogo interiore deve essere
sicuro, deciso e potenziante per infondere fiducia e certezza, per attivare una maggiore
fiducia nelle capacità personali. <<Un nuotatore olimpico deve mettersi sul blocco
e ripetersi una delle affermazioni forse più terribili e arroganti che
possono esistere: sono il migliore del mondo! E crederci al centodieci per cento>> (Dunca Goodhev,
medaglia d’oro olimpica di stile rana). Può essere rappresentato da brevi parole stimolo
(forza, dai, su, andiamo, ecc.), monologhi e frasi (sempre pronto, attaccalo
prima che si giri con la palla, non farlo tirare, guarda la palla, gioca con attenzione e
concentrazione, ecc.).
Abilità immaginative - importantissime per il portiere
Nelle abilità immaginative (mental imagery),
rientrano anche la visualizzazione e l’allenamento ideomotorio, che
possono essere eseguite autonomamente, guidate, svolte
individualmente o in gruppo. Esse fanno riferimento alle capacità di
anticipare, rivedere, correggere la prestazione, prepararsi alla gara. È essenziale però che la
pratica mentale sia associata a quella fisica (Howe 1993). Le immagini possono essere di
tre tipi:
>riproduttive quando fanno riferimento ad
un’azione già eseguita;
>creative
quando si crea una situazione nuova;
>emotive
quando richiamano situazioni associate ad altre (come
per esempio la determinazione che si può leggere negli occhi di una tigre, la velocità
del ghepardo, ecc.).
Secondo molti autori (Jacobson, Avener, Shaw,
Mahoney), le immagini si suddividono in interne ed esterne. Quelle interne, chiamate
anche cinestetiche, sono le più efficaci per migliorare le prestazioni soprattutto di
atleti evoluti. Consistono nell’immaginare una attività come se la si stesse eseguendo
realmente; ad esempio concentrarsi sulla respinta facendo
attenzione che la palla venga inviata lateralmente e non verso il centro
dell'area, immaginarla
in tutti i canali sensoriali motori (visivo, uditivo, cinestetico, tattile), imparando a
sentire il movimento durante l’esercizio. Le immagini esterne (più utili ai principianti e
comunque meno efficaci perché più soggette a situazioni distraenti),
comportano il vedersi dall’esterno durante la prestazione come se si vedesse in televisione da spettatore.
È bene utilizzarle entrambe, preferendo all’inizio quelle esterne e in una
fase più avanzata quelle interne.
La durata dello schema immaginativo si deve
aggirare intorno ai tre/cinque minuti, perché superando questa soglia si rischia la
decadenza dell’immagine. L’immagine deve essere sempre preceduta da un rilassamento,
mediante il quale si riduce la funzione dell’emisfero destro dove
risiedono il pensiero e le immagini (Martens 1987); per renderla più reale deve essere rappresentata in
maniera nitida e con controllo, con più modalità sensoriali;
deve avere valore positivo; affinché sia efficace, bisogna che sia esercitata fisicamente prima
della visualizzazione e alla fine quando la visualizzazione è riuscita. L’immaginazione può avere applicazione nella
pratica sportiva per acquisire nuove abilità dove per esempio il
preparatore dimostra un
determinato gesto tecnico e l’allievo lo immagina eseguito da sé stesso. Lo scopo è di
codificare il movimento attraverso l’immagine (teoria dell’apprendimento simbolico)
per facilitarne la messa in pratica. Le finalità immaginative sono:
apprendimento e
perfezionamento delle abilità; incremento delle abilità-capacità
percettive (canali sensoriali); elaborazione e ripetizione delle strategie di gara;
controllo delle risposte
fisiologiche (attivazione, disattivazione); allenamento delle abilità mentali (per es.
immaginare di conseguire determinati obiettivi); recupero infortuni.
Le immagini per essere efficaci devono avere: vividezza e controllabilità (chiare, reali,
precise, dinamiche); correttezza (il movimento
deve essere immaginato correttamente nei punti fondamentali, i
principianti sono meno precisi dei giocatori esperti, per la precisione delle immagini sono utili istruzioni
verbali, dimostrazione pratica, fotografie, filmati, disegni, ecc.); allenamento sistematico
e continuo con cadenze determinate; esperienze precedenti (nei soggetti esperti sono
più efficaci); attenzione ricettiva dell’allievo (deve credere in quello
che sta facendo); direzione dell’immagine (immaginazione dissociativa per
distrarsi come fanno i fondisti nella corsa, ecc.); età, capacità intellettive, personalità, motivazione (Robazza,
Chevalier, Denis, Hall, Smith). L’immagine può servire anche per rendere più
fluidi e automatici dei movimenti già presenti per migliorarli. Ulteriori impieghi delle immagini possono
avvenire per apprendere strategie di gioco, per familiarizzare con ambienti sconosciuti
(campo di gioco) dove bisogna competere, al fine di contenere il livello di ansia;
esaminare dei problemi di prestazione; attivare o disattivare un particolare stato d’animo;
regolare il battito cardiaco, la temperatura corporea, il ritmo
respiratorio, ecc.; padroneggiare la fatica, il dolore con immagini dissociative riferite a situazioni piacevoli;
sicurezza e fiducia in sé, controllo emotivo, rimanere concentrati. Mentre i principianti possono utilizzare le
immagini per apprendere o migliorare la tecnica, gli atleti agonisti le
possono impiegare per ulteriori impegni. Le immagini interne possono servire anche ad
attivare dei meccanismi di motivazione verso il raggiungimento di particolari obiettivi
(immagini meta: prima della gara immaginare la vittoria, la premiazione,
ecc.). Le immagini possono servire durante
l’allenamento, prima, durante e dopo la gara. Prima delle applicazione delle immagini, bisogna
che l’atleta sia convinto e disponibile; valutare la sua capacità immaginativa; proporre
il programma e la valutazione degli obiettivi. Il tipo di visualizzazione più usata dagli atleti
è quella dell’anticipazione mentale preparandosi alla gara immaginando e
scorrendo nella mente nei giorni precedenti i seguenti aspetti: luogo, spogliatoi, campo di gioco, tipo
di superficie, modello di avversario, riscaldamento, tattica da adottare,
schemi di gioco. John Newcombe dichiarò: <<Mi immaginavo mentre
camminavo sul campo, tirando
a sorte per il servizio, fotografi intorno; la
notte precedente scorrevo mentalmente e
facevo un elenco di ogni cosa che sapevo
sull’incordatura e di ogni frammento di informazione, poi andavo a
letto>>. La campionessa olimpica Silvie Bernier affermò:
<<Ho seguito mentalmente i miei tuffi; cominciavo con un tuffo in avanti, il primo che
dovevo eseguire nel programma olimpico e facevo ogni cosa come fossi realmente presente;
vedevo me stessa sul trampolino mentre mi preparavo a tuffarmi e poi mentre
eseguivo il tuffo; se andava male, tornavo indietro e ripetevo mentalmente un’altra volta>>. Il golfista Jack Nicklaus in una intervista
attestò: <<Non tiro mai un colpo senza averlo prima ben visualizzato in mente. Prima di tutto
vedo dove voglio mandare la palla. Poi vedo la palla che ci va, la sua traiettoria e il
suo atterraggio: <<l’immagine successiva è che prendo lo slancio che trasformerà le
immagini precedenti in realtà>>. Dal punto di vista scientifico l’efficacia delle
abilità immaginative, sembra che inneschi e predisponga, tramite dei piccoli impulsi, le
stesse vie nervose coinvolte nel momento in cui vi è il trasferimento di un impulso
motorio attraverso la pratica (teoria psiconeuromuscolare con l’aiuto
dell’analisi elettromiografica) (Harris, Robinson, Jowdy, Zecher). Va ricordato che la mente stenta a distinguere
cose vividamente immaginate da cose realmente vissute. Le immagini sono più efficaci quando sono
polisensoriali coinvolgendo tutti i sensi come sensazioni visive, cinestetiche, tattili,
uditive, vestibolari vivendo le stesse sensazioni che si vivono in quella
situazione visualizzata (visualizzazione associata).
Attivazione psicofisica
L’attivazione psicofisica (arousal), ha il
compito di preparare il corpo all’azione conferendogli la carica e
permettendo l’accesso alle risorse energetiche dell’organismo. La tensione muscolare, la frequenza cardiaca, il
dispendio energetico derivanti da una attivazione alta diminuiscono la prestazione.
Questi sintomi a un livello accettabile e superiore allo stato normale di riposo, vanno
considerati in maniera positiva come energia, carica, preparazione dell’organismo a
gareggiare. Tuttavia, nell’apprendimento di compiti difficili,
coordinativi e nuove abilità, i livelli di attivazione vanno mantenuti bassi.
È importante che l’allievo abbia la
consapevolezza dell’attivazione ottimale e dargli i mezzi per controllarla, attraverso l’applicazione
di esercizi che consentono l’attivazione e la disattivazione al momento
opportuno e al bisogno. Così, per esempio, la respirazione può essere
usata come tecnica attivante o disattivante: è attivante con respiri frequenti toracici; è
disattivante con un basso
numero di frequenze respiratorie a livelli diaframmatici e addominali .Un’altra tecnica di attivazione può essere la
visualizzazione di azioni di gioco e di risultato: rilancio nella
tre quarti avversaria su un compagno; uscita su un cross, anticipazione in
un calcio di rigore ecc. Altre tecniche di incitamento
(Psyching-up) usano parole stimolo che trasmettono la carica necessaria; ricordano i
propri punti di forza; visualizzano la vittoria, l’applauso. Anche la musica è in grado di elevare o diminuire
l’attivazione con la scelta di determinati brani musicali. Quando si ha una attivazione bassa (come ad
esempio quando si sottovaluta la gara), entrano in gioco situazioni non attinenti con il
compito, creando disturbo e distrazione. Anche la percezione visiva è in
stretta correlazione con l’attivazione, infatti una attivazione troppo bassa causa processi attentivi
ampi, soggetti a distrazione; una attivazione troppo alta, origina un
restringimento eccessivo del focus attentivo che non consente di cogliere informazioni importanti.
Essere coscienti che l’energia fisica influenza
quella psichica e viceversa (Robazza). Il grado di attivazione è diverso per ogni soggetto;
per lo svolgimento dello stesso compito, l’attivazione del principiante è
differente da quella del giocatore esperto; così ad esempio gli atleti di valore si esprimono meglio
in partita dove è presente un livello di attivazione più alta. Per riconoscere il grado di attivazione ottimale,
può essere utile provare in allenamento con esercizi vari, diversi livelli
di attivazione per notare i cambiamenti della prestazione.
La concentrazione
Per concentrazione si fa riferimento a quell’energia
psicofisica, che consente ad un giocatore di astrarsi da tutti quegli elementi
che durante una partita possono arrecare disturbo, per realizzare un obiettivo da
raggiungere. Per la gestione dei processi attentivi è importante imparare
a selezionare gli stimoli rilevanti trascurando tutti gli altri; attivare l’attenzione al momento opportuno,
mantenerla nei momenti importanti. Bjorn Borg disse <<ogni colpo deve essere giocato come
se fosse un match point>>. <<Se decido di impegnarmi in qualche cosa penso sempre
al successo, non penso a cosa succederebbe se dovessi fallire>> (Micheal Jordan). La capacità di dirigere l’attenzione, dipende
anche dalla motivazione, dal desiderio
interiore di riuscire in una determinata cosa e
dall’autostima; a volte, nonostante ci possa essere l’interesse e la motivazione a
concentrarsi, pensieri estranei non lo permettono. Si pensi che anche bassi livelli di zuccheri nel
sangue, disidratazione, mancanza di sonno possono determinare insufficiente
concentrazione, agitazione, irritabilità, scarsa reazione, incapacità di
prendere decisioni. La concentrazione rappresenta un elemento
indispensabile nel gioco in quanto permette di
giocare al meglio in ogni situazione, di impostare la partita con lucidità, circa gli interventi
tecnici da attuare momento per momento. L’atleta riuscirà a concentrarsi, nel momento in
cui saprà mettere a fuoco la sua attenzione su tutti i segnali che possono
derivare dalla gara (compagni, posizione del pallone, posizione del proprio
corpo e dell’avversario). Deve essere in grado anche di estraniarsi da tutti i segnali oggetto di distrazione (pubblico,
rumori, vento, ecc.).
I nemici della concentrazione sono:
• distrazioni e interruzioni;
• difficoltà a tollerare le frustrazioni;
• stress, percezione della fatica;
• emozioni, atteggiamento mentale negativo, dubbi
sulle proprie capacità;
• basso livello di attivazione che lascia spazio
anche a stimoli irrilevanti.
Molto spesso l’attenzione viene indirizzata sulle
difficoltà trascurando tutti gli aspetti che potrebbero scaturire effetti positivi. Questo
aspetto viene reso reale da un semplice esercizio con l’utilizzo di un numero uguale di
oggetti colorati (birilli, coppelle, ecc.) di colore diversi (blu, verde, nero, ecc.)
posizionati in uno spazio delimitato, dove bisogna trovare tutti gli oggetti di colore blu e
annotarli in un foglio, poi senza staccare lo sguardo dal foglio e senza
guardare gli oggetti, bisogna scrivere il numero degli oggetti di colore nero; di sicuro il numero degli oggetti di
colore nero saranno inferiori a quelli di colore blu, poiché quando si focalizza una cosa,
tutto il resto passa in secondo piano. Per allenare questa capacità, è importante che,
in allenamento, vengano dati all’allievo obiettivi ben precisi in campo, spostando il
centro di attenzione; adottate tecniche di rilassamento, meditazione, gestire bene le pause,
favorire il dialogo interiore. Per quanto attiene al primo aspetto (obiettivi in
campo), si può parlare di flessibilità mentale, cioè essere in grado di spostare
continuamente il centro di attenzione. Quello che è importante, è fare passare l’allievo
da una percezione all’altra. Durante la partita, per non perdere la
concentrazione, dopo un errore può essere utile
l’immediata correzione immaginativa
concentrandosi su quello che va fatto, evitando i giudizi di svalutazione e i vari commenti
negativi.Una parte di allenamento, può essere condotta
anche attraverso il condizionamento alla concentrazione con stimolo ottico e con
l’associazione dei colori.
Alcuni esercitazioni per allenare la
concentrazione, si basano nell’esaltare le zone di
campo ,con dei colori. dove indirizzare la palla
ad esempio nei rilanci
Infatti, certi colori, chiamati complementari (rosso-verde-giallo-blu)
catturano la visione, perché quando si trovano vicini, ciascuno di essi
aumenta d’intensità. Questo effetto viene chiamato contrasto simultaneo e viene usato anche per le insegne e le
segnalazioni navali. Gli esercizi con i colori,
consistono nell’eseguire dei rilanci in determinate
zone utilizzando i colori, successivamente bisogna eliminare i riferimenti
colorati agendo come se fossero presenti nella zona di riferimento dove
indirizzare i rilanci . La concentrazione si può allenare anche facendo
esercitazioni atletiche come ad esempio: l’allievo facendo lo skip, la
corsa calciata, la corsa balzata, ecc., deve guardare attentamente la mano del
preparatore che cambierà
continuamente i numeri con le dita o attraverso dei cartelli numerati, che l’allievo
dovrà pronunciare durante il percorso, ecc.
Il calcio è uno sport che richiede livelli di
attenzione diversi. Per adattare
l'attenzione alle situazioni di minore o maggiore impegno, occorre impostare
l’allenamento per spostare continuamente l’attenzione dove serve, per
automatizzarle e chiamarle in causa al bisogno senza fatica. Tutti gli elementi distraenti (difficoltà ad
allontanare il pensiero da ciò che è appena accaduto, dagli spettatori,
dalle condizioni climatiche, dall’arbitraggio, dai pensieri riferiti a ciò che accadrà dagli sviluppi della situazione
in atto, ecc.) non consentono un focus
attentivo ideale e danneggiano la prestazione.
Lo stress
Il termine “stress” viene associato a situazioni
che cagionano reazioni soggettive di
ansia o tensione, causando problematiche a
livello fisiologico, comportamentale e cognitivo.
L’ansia pre-gara va vissuta come energia che
circola nel corpo che si prepara a dare il massimo (C. Feresin, 1998). <<Chiunque decida di impegnarsi a realizzare un
obiettivo straordinario, deve imparare a convivere con lo stress e a
trasformarlo in un prezioso generatore di energia>> (Livio Sgarbi).
L’ansia dipende dalla percezione
dell’avvenimento da parte dell’atleta e non dall’evento in se. Nelle discipline a prevalente determinazione
tattica, bisogna padroneggiare più abilità nello stesso momento con un affaticamento mentale
che, se intenso e prolungato, può procurare stress. Gli effetti possono essere scarsa prestazione con
difficoltà a concentrarsi, confusione tattica, riduzione di autostima, alterazioni del
sonno, tendenza agli infortuni, abbandono della pratica sportiva, affaticamento, cefalee,
inappetenza, problemi digestivi, rigidità e tensioni muscolari, crampi, perdita della
coordinazione e della fluidità dei movimenti. L’ansia può essere di tratto e di stato (Spielberger
1966). L’ansia di tratto è una condizione stabile che si manifesta con
delle paure fortemente negative che portano alla nike fobia, procurando tensione e inquietudine.
L’ansia di stato ha una funzione transitoria che si può verificare anche
nei giorni precedenti la gara con grande sudorazione, aumento del battito cardiaco. In caso di ansia
elevata prima della gara, è importante eseguire degli esercizi come corsetta, scatti,
prove tecniche, tecniche di rilassamento, tecniche che mirano a sostituire le
rappresentazioni interne negative con altre positive (dialogo interiore, frasi autosuggestionanti,
visualizzazioni, ecc.). L’ansia di stato provoca anche incertezza, timore,
agitazione psicomotoria. L’ansia può essere anche cognitiva (mentale), che
interessa pensieri, emozioni, scarsa fiducia e stima di sé,
preoccupazione; somatica (fisiologica), che si manifesta con tachicardia, sudore, tremore, tensione muscolare. Quello che bisogna fare capire è che l’ansia non
è del tutto negativa, perché ad un’ansia bassa corrisponde una bassa
attivazione e quindi una bassa performance. Il grado di ansia dovrebbe essere
medio in modo da non compromettere le capacità prestative. L’ansia cognitiva può essere ridotta
attraverso la determinazione degli obiettivi, il dialogo interiore con parole e frasi stimolo,
rinforzanti e positive; l’ansia somatica può essere controllata tramite tecniche di
rilassamento corporeo. L’ansia cognitiva, si avverte soprattutto durante
la prestazione e prosegue in base all’andamento della gara; l’ansia somatica tende a scomparire all’inizio
della gara (Martens 1990). L’ansia vede l’avversario e non il proprio gioco,
è una paura senza oggetto, chi pensa di non poterla controllare, aumenta il
comportamento negativo; viceversa, può essere interpretata come segnale di preparazione
dell’organismo alla competizione. Questo è stato confermato da numerosi test eseguiti su
sportivi di ogni genere. Le tecniche di rilassamento servono per gestirla
al meglio e non per annullarla. L’ansia con un valore molto basso è dannosa allo stesso
modo di un valore molto alto. È importante la consapevolezza per riconoscere
gli stati emotivi, la modulazione e la gestione. Essa può essere un alleato o un
nemico; è la carica fino a quando non blocca perché eccessiva; fa parte del nostro
vivere quotidiano allo stesso modo della rabbia, della vergogna, dell’amarezza: è uno
stato d’animo. Altre cause di stress possono essere: viaggi e
trasferte (luoghi, distanze, ritardi, attese); noia; ospitalità non ideale
(letti scomodi, bagni in comune, ecc.); scarsa organizzazione (carenza di
informazioni, ritardi, cambiamenti, ecc.); spettatori (autografi, pubblico ostile, disturbatori); stampa
(intrusioni, aspettative smisurate, richieste inopportune, interviste). In genere, chi ha una certa fiducia nelle proprie
capacità, chi ha vissuto maggiori esperienze di successo, riesce a gestire
meglio gli stati ansiosi. Inoltre, alcuni fattori che possono provocare
ansia (come la presenza del pubblico), possono essere stressanti per un giocatore e
stimolanti per un altro. Un programma di allenamento per la gestione
dell’ansia, va proposto qualora ostacoli le capacità prestative o per creare un senso di
benessere a prescindere dal risultato sportivo. (Murphy e Woolfolk, 1987) La diminuzione dell’ansia non comporta
necessariamente un aumento della prestazione; ci possono essere degli
atleti, che, senza avere seguito tecniche particolari di gestione dell’ansia, riescono in maniera autonoma
a far fronte a situazioni complesse durante la gara. Un altro metodo per controllare l’ansia viene
chiamato Flooding o modello di estinzione, facendo immaginare le scene che
provocano tensione per almeno 30/40 minuti con immagini chiare e polisensoriali, oppure
farle vivere realmente in allenamento .Ogni allievo dovrebbe essere abituato, tramite
l’allenamento, ad avere la capacità di allontanare lo stimolo stressante sostituendolo
con dei compiti ben precisi (ad ogni pausa contare due/tre atti
respiratori o sbattere i tacchetti a terra o sui pali, ecc.) e associarlo a pensieri e visualizzazioni positive.
Metodi alternativi alle singole
abilità mentali
Alcuni metodi alternativi di allenamento mentale (la cui efficacia
viene confermata da numerosi studi ed esperimenti), sono :
Five-Step
strategy
Questo metodo, consiste nel mettere insieme cinque diversi aspetti
del mental training
per renderli più efficienti, da ripeterli fino a quando non vengono
automatizzati.
La prima fase è la
preparazione per ottenere una attivazione ottimale, ricercare la
concentrazione (controllo del respiro, percepire il battito cardiaco, la
postura, ecc.),
rivivere situazioni precedenti di successo;
La seconda fase consiste
nell’immaginare in maniera polisensoriale (visiva, cinestetica, tattile,
uditiva, vestibolare) le varie fasi di un movimento o di uno schema
tecnico-tattico;
La terza fase prevede la
concentrazione su una immagine importante dal punto di vista
tecnico-tattico (ad esempio rilancio per il contrattacco,uscita su presa
alta su calcio d'angolo,ecc.), per eludere tutti quei fattori distraenti;
La quarta fase realizza ciò che
è stato programmato ed elaborato mentalmente, che va
fatto senza pensare al movimento e al risultato, cioè in maniera
automatica;
La quinta fase è rappresentata
dalla valutazione-analisi del risultato e della prestazione per correggere
eventuali errori in una prova susseguente e per consolidare le tracce
corrette
già effettuate.
Visual-Motor Behavior Rehearsal o VMBR
Questo secondo metodo è la riproduzione visiva del comportamento,
per memorizzare
e perfezionare la tecnica o la tattica, facilitare il passaggio di ciò che
si è appreso in
allenamento durante la gara, riconoscere e correggere errori, esercitare
la concentrazione, gestire lo stress, elevare la fiducia nelle
proprie capacità.
Nella prima fase di questo
metodo, l’allievo viene guidato al rilassamento con la tecnica di Jacobson
(vedere rilassamento muscolare analitico) e alla visualizzazione di
un’azione di gioco di successo.E' essenziale l’accoppiamento
rilassamento-visualizzazione;
Nella seconda fase viene combinato il
rilassamento con le azioni di successo tramite le immagini;
La terza fase prevede che il
soggetto riviva in maniera autonoma le fasi precedenti. Acquisite le
abilità di rilassamento e di visualizzazione, il lavoro viene spostato su
obiettivi individuali.
È rilevante sottolineare che il metodo VMBR richiede costanza, le
visualizzazioni devono rappresentare il gesto e l’immagine corretta.
Elaborazioni training
autogeno
I
metodi che derivano da elaborazioni del training autogeno in campo sportivo
sono:
il
rilassamento muscolare analitico, il rilassamento respiratorio
analitico, la musicoterapia, l'allenamento ideomotorio.
Il rilassamento muscolare analitico
Questa forma di rilassamento si rifà al metodo usato da Edmund Jacobson e si
differenza dal training autogeno perché non comporta suggestione o ipnosi.
Si parte dall’idea che si può attuare il rilassamento, se si conosce il
vissuto della tensione muscolare.
Questo metodo, alterna momenti di contrazione a momenti di decontrazione
muscolare che hanno il compito di eliminare la tensione.
Sono previsti sei esercizi da svolgere
in un’unica seduta per circa 15 minuti al giorno.
Dopo circa un mese i risultati possono essere soddisfacenti per regolare la
tensione
emotiva e il rilassamento generale. Anche in questi esercizi, come nel
training autogeno, ci devono essere i requisiti relativi all’ambiente, alla
postura e alla disponibilità psicologica.
PRIMO ESERCIZIO
In posizione seduta, portare le braccia tese in avanti; flettere il dorso
delle mani verso il corpo rimanendo con le braccia tese; raccogliere la
sensazione di pesantezza delle braccia, dei polsi, delle mani e delle
spalle; dopo qualche minuto rilasciare le braccia sopra le cosce e ripetere
per altre tre volte.
SECONDO ESERCIZIO
Da posizione seduta, sollevare il braccio dominante e rilassare l’altro;
percepire la sensazione di pesantezza, di contrazione e di rilassamento;
dopo qualche minuto rilasciare e ripetere per altre tre volte.
TERZO ESERCIZIO
Da posizione seduta, sollevare le gambe tese in avanti; lentamente flettere
il dorso del piede verso il corpo rimanendo con le gambe tese; sentire la
pesantezza; contare lentamente fino a 15 e ripetere per altre tre volte,
effettuando una pausa fra un esercizio e l’altro di 10 secondi.
QUARTO ESERCIZIO
Da posizione seduta, fare delle lunghe inspirazioni alzando le spalle e
contando fino a 10; espirare rapidamente rilassando le spalle. Fra un
esercizio e l’altro, rispettare delle pause di circa 6 secondi e ripetere
una decina di volte.
QUINTO ESERCIZIO
Posizione da seduto, braccia appoggiate sulle cosce, contare lentamente da
uno a cinque facendo corrispondere ad ogni dito della mano un numero
iniziando dal quinto dito. Ripeterlo per entrambe le mani per circa 8 volte
con una pausa di circa 5 secondi fra un esercizio e l’altro.
SESTO ESERCIZIO
Questo esercizio differisce dagli altri, perché fa riferimento allo schema
corporeo o schema motorio nel suo complesso, e non a singole
parti del corpo come negli esercizi precedenti. Da posizione disteso sul
materassino, cuscino basso sotto la testa, braccia distese lungo i fianchi
con il palmo della mano rivolto verso il basso, gambe rilassate con la
punta dei piedi che cade verso l’esterno. Faccio un respiro lento e
profondo, rimango con gli occhi aperti; mi concentro sul mio corpo, in
particolare sul mio viso, sui i miei occhi, mantengo l’attenzione sul
battito delle mie palpebre; ora le mie palpebre diventano pesanti, si
abbassano, si chiudono e sposto la mia attenzione sulla mia bocca; stringo i
miei denti, sento la tensione, rilascio e i denti non si toccano più;
sollevo leggermente la testa da terra, sento il peso del mio capo e poi
lentamente la riappoggio; sposto l’attenzione sulle mie mani, stringo forte
i pugni, rilascio lentamente e distendo con forza le dita a ventaglio, sento
la tensione e rilascio; ora cercherò di contrarre tutti insieme i muscoli
degli arti superiori chiudendo i pugni e spingendoli con forza verso il
pavimento con le braccia lungo i fianchi, sento la contrazione dei polsi,
dei gomiti, delle braccia, delle spalle, rilascio lentamente, ripeto; ora mi
concentro sul bacino staccandolo da terra con una anteroversione, sento la
zona lombare staccata da terra e la tensione, lo rilascio lentamente; faccio
il movimento opposto portando il bacino in retroversione, sento la zona
lombare ben aderente al suolo, la contrazione degli addominali e dei glutei,
rilascio lentamente; cerco di contrarre tutti insieme i muscoli degli arti
inferiori, lentamente le mie gambe si irrigidiscono, sento la contrazione
dei glutei, dei muscoli che avvolgono le cosce, dei polpacci, aumento la
tensione e lentamente rilascio, ripeto. Ora cerco di immaginare e di sentire
la decontrazione dopo la contrazione, la calma dopo la tensione, il calore
dopo il movimento; tutti i muscoli sono rilassati, la calma si diffonde
lentamente in tutto il mio corpo; dopo aver sentito i miei muscoli quando
sono contratti e quando rilassati li potrò controllare meglio; ora mi
sveglio lentamente, stringo e rilascio i pugni delle mie mani, contraggo i
muscoli delle gambe e rilascio, apro gli occhi, mi stiro come quando mi alzo
al mattino, mi rialzo e faccio dei piegamenti delle gambe, delle braccia,
ecc., per riattivarmi al meglio.
Il rilassamento respiratorio analitico
Il rilassamento è uno stato psicofisico in quanto implica un coinvolgimento
sia mentale che corporeo: non si può essere mentalmente rilassati e
fisicamente nervosi e viceversa. Michael Stich sosteneva che, se vuoi
vincere, devi rilassarti, anche perché c’è abbastanza tempo per ogni
cosa. Il rilassamento rallenta la frequenza cardiaca, quella respiratoria e
l’attività muscolare; è ideale per risparmiare l’energia, soprattutto prima
della gara e dell’allenamento;
favorisce il recupero se è fatto dopo lo sforzo; migliora la ricettività
delle istruzioni; rende più lucidi nell’applicare determinate strategie;
favorisce la fluidità dei colpi e dei movimenti.
Questo metodo di autodistensione, che deriva da un’evoluzione ed
elaborazione del training autogeno, ha avuto una consistente applicazione in
ambito sportivo.
Anche questo metodo è composto da una serie di esercizi, ognuno dei
quali viene concluso con l’esercizio della ripresa, che consente di passare,
dallo stato di rilassamento a quello dell’attività psicofisica.
Fino a quando le esercitazioni non vengono apprese bene, l’allievo deve
essere seguito; successivamente, potrà svolgere l’allenamento in maniera
autonoma, dedicando circa dieci minuti due tre-volte al giorno. Anche in
questi esercizi, valgono le regole del training autogeno, circa
l’atteggiamento somatico e psicologico come: condizioni ambientali, postura,
chiusura degli occhi, atteggiamento positivo all’esercizio, mancanza di
movimenti muscolari; esse determinano l’induzione alla calma, all’abbandono
e allo stato di rilassamento psicofisico.
Le esercitazioni avranno lo scopo di permettere all’allievo di escludere
ogni contatto con il mondo esterno, visualizzando o immaginando delle
situazioni che saranno suggerite dal preparatore, con tono pacato e in
presenza di tutti i presupposti affinché il rilassamento si attui. Il
portiere deve esser portato in una situazione di calma, che si sovrappone
nella mente
ai pensieri e alle preoccupazioni (passività mentale). Gli si può chiedere,
per esempio, di immaginare qualsiasi parte del corpo partendo dalle dita dei
piedi, per poi proseguire con la caviglia, il ginocchio, l’addome che si
muove ad ogni atto respiratorio, la mano, il polso, l’avambraccio, la spalla
ecc.; concentrarsi sul respiro cercando di percepire l’espansione del
diaframma, il passaggio dell’aria dalle narici nella fase di inspirazione e
dalla bocca nell’espirazione; avere l’impressione che tutto il corpo
respira; immaginare che il corpo si dilata e si contrae effettuando delle
profonde inspirazioni e espirazioni. Finita questa fase, va fatta eseguire
la ripresa, invitando l’allievo a compiere dei movimenti con gli arti
inferiori e superiori di flessione estensione, stringere le dita a pugno,
respirando profondamente, aprendo gli occhi e ritornando allo stato
iniziale.
Questo tipo di training, può essere variato e arricchito, prendendo in
considerazione il
corpo nel suo complesso.
La musicoterapia
La musico-terapia è la scienza che studia l’applicazione della musica, come
terapia sulla sfera fisica e psichica. In essa, il training autogeno, può
essere usato con l’ascolto di brani musicali che, assimilati in uno stato di
rilassamento, permettono all’allievo una padronanza del proprio
corpo e una condizione della sfera emotiva particolare. All’inizio della
seduta, si propongono alcuni esercizi di training autogeno come la
pesantezza, il senso di calore ecc.; poi vengono fatti ascoltare tre brani,
con una pausa breve fra uno e l’altro, per essere assorbiti singolarmente. I
brani possono essere scelti a piacere per quanto attiene l’autore, mentre,
devono essere scelti secondo un ordine ben preciso in base all’obiettivo
da perseguire, rispettando la progressione suggerita. Il primo brano
deve tener conto dello stato d’animo iniziale dell’allievo che in genere
esprime malinconia; il secondo dovrebbe essere dolce e melodico per
indurre alla meditazione; il terzo brano è quello che determina il
cambiamento dello stato d’animo iniziale, perché deve esprimere
liberazione e trasmettere una carica emotiva. Terminati i brani, vengono
proposti gli esercizi della ripresa già trattati nel training
autogeno; si faranno pronunciare delle formule autosuggestionanti che danno
grinta e determinazione: “io sono forte”, “devo giocare bene”, “devo dare
tutto me stesso”, “il
mio avversario ha paura di me”, “io vincerò”. Alla fine di questo training,
si passerà da uno stato di abbattimento e sfiducia ad uno stato di enfasi,
voglia di lottare, sicurezza, voglia di fare, allegria, voglia di vincere,
coraggio e liberazione.
Questo metodo nella fase iniziale viene proposto dal preparatore, per poi
diventare autogeno, cioè è l’allievo stesso a metterlo in pratica senza
l’aiuto di nessuno, anche se è
preferibile che il portiere sia seguito.
L’allenamento ideomotorio
Con l’allenamento ideomotorio, si parte dal presupposto che alcuni problemi
che si manifestano in ambito sportivo, possono essere corretti e migliorati
immaginando le stesse situazioni tecnico-tattiche con un risultato positivo.
La mente non fa differenza fra una esperienza realmente vissuta e una
immaginata. Gli impulsi nervosi, che circolano nel cervello quando si vive o
si immagina una esperienza, formano una sorta di traccia del percorso,
rendendo più facile il richiamo dello stesso programma o pensiero in un
momento successivo; questa traccia viene influenzata dalla quantità dei
passaggi dello stimolo nervoso, cioè, più ci si esercita, maggiormente si
apprende. Pertanto, quando si ripetono mentalmente delle azioni è come se si
svolgesse un allenamento.
Affinché l’allenamento ideomotorio sia realmente efficace, ci vuole
predisposizione
psicologica, ripetizione e una visualizzazione ricca di sensazioni: visiva,
muscolo-articolare, uditiva, tattile, organica.
Questo processo di immaginazione, può avere un carattere riproduttivo
riguardo a esperienze precedenti; creativo quando si anticipano degli
eventi possibili; programmatico riferito all’azione da compiere;
regolatorio in relazione al controllo e all’azione dei movimenti;
allenante volto al miglioramento del gesto.
Rappresenta un’altra variante dell’allenamento mentale, che interviene sulla
psiche dell’atleta; deve fare parte integrante, senza sostituire ma
completare, dell’allenamento tradizionale. In uno sport come il calcio, che
viene definito psicologico e di situazione, si pensi quale importanza può
assumere questo aspetto che, purtroppo, in Italia, viene ancora poco
considerato. Prima di procedere a questo tipo di allenamento mentale, è
sempre utile praticare alcuni esercizi di rilassamento, per fare diminuire
la tensione muscolare e acquisire
un livello di concentrazione tale, da permettere il pieno assorbimento delle
tecniche ideo-motorie.
La seduta non deve durare più di 30 minuti (compreso il
rilassamento).
Il metodo consiste nel riprodurre e visualizzare mentalmente
azioni di gioco, interventi
tattici e correzioni tecniche che hanno lo scopo di aiutare il portiere a
viverle in partita in
maniera positiva, vincente, con minore ansia, maggiore freddezza e
sicurezza. Un esempio pratico può essere la rappresentazione mentale di un'
uscita su gioco aereo; la rappresentazione esatta di un'azione tecnica e
tattica che deve essere migliorata.Ogni esercitazione viene proiettata
mentalmente tre-quattro volte per poi passare alla prossima.
La posizione da assumere è quella classica da seduto (posizione del
cocchiere). Queste esercitazioni possono essere fatte negli allenamenti,
prima e durante la gara riducendo ovviamente la loro durata.
Esempi di mental
training prima della gara
Prima di proporre le esercitazioni, è opportuno precisare che il
lavoro deve essere svolto proponendo un’assistenza psicologica
diversificata, per la ragione che ogni allievo è diverso. Pertanto, il
preparatore dovrà avviare un processo conoscitivo che gli permetterà di dare
ad ognuno quello che gli serve.
Questo è possibile se viene instaurato un rapporto interpersonale con ogni
allievo, in modo tale da favorire la comunicazione delle sensazioni, delle
impressioni e delle emozioni vissute.
Tutte le esercitazioni devono essere svolte
direttamente dall’allievo senza l’aiuto del maestro.
La condizione di autosufficienza fortifica psicologicamente l’allievo
per poter affrontare la partita. Il portiere, essendo unico nel suo ruolo,
deve abituarsi a vincere prima con se stesso. È essenziale che le
tecniche, oltre che prima della gara, siano messe in pratica anche negli
allenamenti affinché abbiano una buona efficacia.
Prima di eseguire gli esercizi è opportuno praticare il rilassamento con le
tecniche illustrate negli articoli precedenti e, alla fine, il riscaldamento
motorio.
Le esercitazioni trattate sono diverse e appartenenti a differenti metodi.
ESERCIZI
PRIMO ESERCIZIO
L’allievo, con la forza dell’immaginazione, si vede giocare analizzando con
la mente
situazioni e tattiche di gioco: chiude gli occhi ed esegue,ad esempio una
presa in tuffo.
SECONDO ESERCIZIO
Formulare con la voce la sequenza del gesto tecnico, in riferimento
ad azioni tecniche da migliorare; se per esempio l’allievo ha delle
indecisioni sulle USCITE ALTE dirà a voce
: Traiettoria corta, uscita, stacco ,braccia distese. Vale lo stesso per le
altre azioni. Questo esercizio può essere svolto da distesi ad occhi chiusi
o in piedi . Le ripetizioni dipendono dalla situazione interna di ogni
individuo; in genere bastano 3-4 ripetizioni.
TERZO ESERCIZIO
Per ottenere la carica essenziale per affrontare la gara, si usa anche la
musica con brani scelti dall’allievo in base allo stato d’animo del momento.
QUARTO ESERCIZIO
L’autosuggestione, attraverso la formulazione di frasi orali, si utilizza
per superare un ostacolo psicologico o situazioni di inferiorità tecnica. Le
frasi possono essere: io sono forte, io vincerò, l'attaccante ha paura di
me, la mia uscita sarà rapida e decisa .
QUINTO ESERCIZIO
Immaginare delle scene negative che provocano ansia e tensione, cercando di
pensare a tutto quello che di negativo può avvenire nell’incontro che si
andrà a disputare.
La durata di questo esercizio è di circa 10 minuti, trascorsi i quali,
verranno fatti alcuni esercizi di ripresa (inspirazioni-espirazioni,
flessioni-estensioni degli arti inferiori) e si andrà ad affrontare la gara.
SESTO ESERCIZIO
Immaginare una azione conclusiva vincente della gara, gli applausi, il
pubblico, i compagni gioiosi,ecc.
SETTIMO ESERCIZIO
Avere come obiettivo quello di esprimersi al meglio senza pensare al
risultato, concentrandosi su quello che va fatto e non su quello da non
fare.
Esempi di
mental training durante la gara
Durante la gara nelle pause ai cambi di campo, possono essere utilizzate
delle esercitazioni di mini-training mentale nella classica posizione del
cocchiere, per recuperare le forze psichiche, la concentrazione, la fiducia
in se stessi, la motivazione, controllare l’ansia;
ESERCIZI
PRIMO ESERCIZIO
Regolazione della respirazione con la ripetizione di profonde inspirazioni e
espirazioni, concentrando l’attenzione sulla durata dell’inspirazione e
pronunciando delle formule autosuggestionanti mentre si espira.
SECONDO ESERCIZIO
Visualizzare nella mente delle possibili azioni di gioco come ad esempio:
uscite alte.uscite su palla corta,impostazione di contrattacco rapido,ecc.
TERZO ESERCIZIO
Visualizzare parti del corpo, partendo per esempio dalle caviglie,
proseguendo verso la parte alta del corpo (ginocchia, ecc.).
QUARTO ESERCIZIO
Pronunciare frasi autosuggestionanti con formule caricanti: in questa
partita non prenderò neanche un gol.farò delle uscite e parate
spettacolari,la porta sarà una saracinesca. Le formule variano in base allo
stato d’animo. Chi ha paura della sconfitta può pronunciare per esempio:
perdere mi insegnerà a vincere; mi batterò fino all’ultimo minuto per non
prendere gol ,e non importa se perderò. In caso di calo di concentrazione si
può ripetere la frase: sono calmo e concentrato. Se ci si sente osservati si
può dire la formula: il giudizio degli altri non mi interessa.
QUINTO ESERCIZIO
Ripassare le istruzioni precedentemente avute dall'allenatore.Ci sono
addirittura dei portieri che si segnano con la penna i guanti per ricordarsi
certe istruzioni da attuare .
SESTO ESERCIZIO
Visualizzare prima di ogni rinvio la traiettoria voluta e il compagno da
mettere in movimento.
SETTIMO ESERCIZIO
Dopo qualche errore tecnico, visualizzare mentalmente il movimento corretto
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